Free tour nel cervello di una svarionata (e lo so che "dull" non vuole la esse…)

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Una martellata in testa (fin da principio) sarebbe stata molto meglio

Dormirci su non è stata una buona idea.
Dormire sarebbe stato il massimo, magari addormentarsi subito, crollare a muscoli esausti sul cuscino e disattivare il cervello. Tutto bene sino al momento in cui ho poggiato il capo sul guanciale ma già allo svolgere il filo delle auricolari collegate all’mp3 le dita hanno cominciato ad avere la smania nervosa dell’affanno.

Metti un pezzo italiano!
Metti roba nella tua lingua così non fingi di aver stracapito!
Metti una chitarra melodica, un piano triste: metti il tuo umore e lascialo scorrere…

Ho incastrato le cuffiette nelle orecchie come se piantassi carote da metro in un terreno arido e acceso il lettore con il respiro pesante, frammentato.

Venditti, Venditti!… no, Venditti no.
Baglioni… no.

Con uno spasmo d’ansia ho fatto zapping velocementissimo, con gli occhi sbarrati ai titoli che scorrevano in successione sino a Raf. Di solito lo tengo buono per ispirarmi tristezza quando scrivo; stanotte non ho avuto bisogno di stimoli allo scoramento, ne ero già piena. Ho preso a ragionare, valutare, misurare le parole e i modi di pronunciarle mentre la musica andava, cambiando brano, e con essa crescevano i dubbi, le domande, le speranze di sbagliarmi, di aver esagerato con l’immaginazione.
Mi son sentita un’ondona di fiato denso salirmi dai polmoni alla gola, bruma notturna che ti scioglie e ti rende liquido che si allarga su uno spazio immenso e si dilata ad ogni respiro profondo. Stavo come senza barriere dalla gola in giù, stesa su un fianco come unico contatto con la realtà; dalla giugulare a salire una progressiva strozzatura sino ad una pressa che mi stritolava le tempie, senza dolore, solo per spremermi le lacrime agli occhi. Lì, nel buio, con il piumino dell’Ikea che mi copriva solo una gamba, a piangere come una deficiente per un deficiente, con il fiumiciattolo che mi scorreva dall’occhio sinistro (il più vicino al cuscino) a rigarmi la guancia e a finire alla base del lobo, bagnandomi di quel liquidino appena un po’ vischioso che tanto mi infastidisce quando son vittima dei Cento Sbadigli prima di dormire.

Ho bisogno di te almeno un’ora
Per dirti che ti odio ancora
[…]
E vivrò, sì vivrò tutto il giorno per vederti andar via
Tra i ricordi e questa strana pazzia

Credo sia proprio questo quello che faccio: dall’istante esatto in cui lo vedo inizio a chiedermi quando se ne andrà. Perdo attimi distraendomi a pensare perchè e per come, subissandomi di domande se è giusto o sbagliato, se parla sul serio o sta scherzando, riacquisendo attenzione solo quando mi parla agli occhi, mi prende una mano e si socchiude in piccole confessioni a bassa voce. Parole che sono costantemente la mia rovina, che fan cedere le difese, di una semplicità e purezza che, santo cielo! se sono vere lastricano la strada di un amore ma se son fasulle distruggono un rapporto.
Questo essenzialmente mi spaventa: la verità, che temo non sia chiara nemmeno a lui, specie quando scherza e sorride lasciando andare l’espressione di un pensiero che per un uomo riempie esclusivamente lo spazio di quelle parole ma che per una donna racchiude mille fattori.
Al che mi sono fermata, ho risucchiato le lacrime e ripreso a ragionare con la mente il più sgombra possibile per quel frangente.

Pensa, pensa, pensa.

Ho ripercorso a ritroso tutto il discorso, sezionato per settori, argomenti, sensazioni, e fatto ritorno, convincendomi che non tutto era perduto. Almeno sino al momento in cui mi tornata nelle orecchie la frase di dichiarazione, lui che mi dice che vede un’altra, che mi sa che mi sono innamorato e son scoppiata, definitivamente e completamente.
Piangendo mi son appisolata per una decina di minuti di notte fondissima, svegliandomi di soprassalto con in animo la colpa di aver ceduto al sonno prima di essermi svuotata di bene e male e di quel che sta in mezzo. Nel frattempo era scattato l’autospegnimento dell’mp3: priva della compassione complice della musica, dovevo affrontare anche il silenzio greve della notte. Ho avuto una gran voglia di accendere il cellulare e chiamarlo tra mille imprecazioni o anche solo di gridare quanto volessi esplodere ma tutto attorno a me sembrava urlare molto più forte di quanto avrei mai potuto fare io. Mi son sentita zittire di paura e incertezza e a queste ho chinato il capo e deposto la rabbia.
C’ho messo un bel po’ a riaddormentarmi e il sonno è stato solo un palliativo alla mancanza della sua voce.

Oggi ho il terrore di vederlo, di sentirlo. Sto in allerta, al centro di una piazza, continuando a ruotare sui talloni per anticipare un altro colpo, per esser pronta a incassarlo dall’attimo esatto in cui verrà sferrato e non farmi trovare impreparata.
Un pugno al cuore ti toglie il fiato. Due ti tramortiscono.
Ho paura di quello che può aspettarmi.